Quando leggete l'avvertenza "ogni riferimento a personaggi o avvenimenti... " potete esser certi che si tratta proprio del contrario. Qui l'ipocrisia è al massimo: poiché l'interesse del film è proprio nella riproposta di un noto scandalo letterario. Quello di Romain Gary che, con il pseudonimo di Emile Ajar era riuscito ad ovviare ad una celebre clausola: quella che impedisce ad uno scrittore di vincere due volte il premio Goncourt. Alle origini dell'avvenimento c'era ovviamente qualcosa di più di una semplice sfida alle regole parigine, di un gusto della provocazione da parte di uno scrittore iperconsacrato, o della ricerca della notorietà e del guadagno da quella del giovane cugino che accettò di stare al gioco.
È quello che si sforza di sviscerare il film. Ma per svelare il gioco sottile, che altrettanto subdolamente può scivolare in dramma, che lega l'uomo alla propria identità, occorre qualcosa in più di un personaggio urlato come quello di Philippe Noiret. Qualcosa in più, soprattutto, di una regia piattamente decorativa (il glorioso Apostrophe di Pivot, e le sbavature littéraraires di Brialy... ), del tutto impotente a creare, in uno spazio scenico, una dimensione spirituale, per non dire morale.